In Turchia l’ondata speculativa contro la lira ( – 15,6 % dal maggio 2013) si sovrappone e si interseca con il conflitto fra AKP e Hizmet (il movimento di Fetullah Gülen) e con i dubbi e le incertezze suscitate dalla “bomba” siriana alle sue porte.
Inchieste giudiziarie su asseriti episodi di corruzione e interventi censori del governo sull’uso di internet – così come i provvedimenti dell’esecutivo riguardanti magistrati e ufficiali delle forze di sicurezza – sono solo episodi, certamente rilevanti ma parziali, del conflitto in corso.
Rimane l’interrogativo sul futuro di una situazione alquanto incerta. Il monito del Presidente Gül pronunciato all’annuale incontro con gli ambasciatori dà il segnale di un malessere e di un passo indietro rispetto a una politica estera pesantemente sbilanciata in senso antisiriano: “ricalibrare l’approccio generale della politica estera e adattarla alla situazione reale sul campo”
Bayram Balcı, analista del Paese della Mezzaluna in forza al centro di ricerca parigino CERI, chiarisce la situazione, precisando che tra le posizioni di Erdoḡan e Davutoḡlu da una parte e quelle di Gül dall’altra “vi è sia una scissione a proposito della questione siriana sia un tentativo comune di recuperare la situazione, affidando al Presidente della Repubblica il compito di riaggiustare i cocci del vaso rotto (…) La politica di buon vicinato predisposta da Davutoḡlu è andata a gonfie vele per anni, poi è completamente andata in fumo con impantanandosi nel conflitto siriano. Con Davutoḡlu ed Erdoḡan che non vogliono riconoscere i loro errori”.
Anche se – osserva Balcı – il riavvicinamento turco-iraniano di questi ultimi mesi favorisce il fatto che ora “la Turchia non escluda più la possibilità di discutere con Assad, visto che nemmeno statunitensi e occidentali in genere escludono di trattare con lui sulla questione delle armi chimiche e sul contrasto ai jihadisti”.
C’è da osservare a questo proposito che statunitensi e loro alleati si muovono – come sempre – con spregiudicatezza (più i primi che i secondi, per la verità, essendo questi ultimi piuttosto abituati al conformismo di chi si muove a rimorchio) e con una buona dose di cinismo: così l’utilizzazione della formidabile macchina economica/comunicazionale di Gülen – oggi l’interlocutore ideale dell’Occidente, con le sue 3.500 dershane in territorio turco, in aggiunta ad altre centinaia di istituti privati controllati dall’organizzazione, ma ancor di più con la disponibilità di una parte consistente della magistratura- ha il ruolo di mettere da parte l’AKP e un certo Islam politico per spianare la strada a un alleato più in linea con i dettami ideologici e geopolitici atlantici. Le elezioni amministrative di fine marzo forniranno una risposta indicativa del grado di consistenza di tale progetto